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Lazio - Roma - Latina - Castelli Romani
Italia ed estero

INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
(Artt. 391-bis-391-decies c.p.p.)


CHI SIAMO
 

Per indagini difensive si intende la facoltà per l’avvocato difensore, nell’interesse del proprio assistito, di effettuare indagini, in concomitanza con quelle fatte dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria, al fine di raccogliere delle prove da utilizzare durante un processo.


Tale strumento è stato introdotto nell’ordinamento italiano dalla Legge 397/2000 con lo scopo di ridurre il divario tra i diritti dell’accusa e quelli della difesa, essendo il nostro sistema processuale fondato sul principio accusatorio.


Secondo suddetta legge, la difesa può avvalersi di un investigatore privato, "purché autorizzato”, per effettuare delle ricerche ed individuare eventuali elementi di prova a favore del proprio assistito.


Negli ultimi anni, il ricorso alle investigazioni private ha dato i suoi frutti in sede giudiziaria, producendo prove che non erano state nemmeno prese in considerazione da parte dell’accusa. Per entrare nello specifico, sono due le categorie di investigazioni attuabili privatamente:


1) l’indagine da fonti dichiarative, effettuabili tramite colloquio non documentato, tramite richiesta e relativa ricezione di informazioni scritte e tramite l’assunzione di informazioni da documentare;


2) le investigazioni dirette, volte alla raccolta di prove.


Grazie alle investigazioni difensive, il legale della difesa e l’investigatore privato possono perciò effettuare sopralluoghi, fare filmati e rilievi tecnici di vario tipo, entrare nelle abitazioni private (con l’autorizzazione del giudice e solamente per accertare "le tracce e gli altri effetti materiali del reato”) e interrogare eventuali testimoni.


Una volta che le prove sono state raccolte, quest’ultime potranno essere utilizzate nel corso del processo per l’esercizio del diritto di difesa.


Sono gli articoli 391 sexies e 391 septies a darci conto della terza ed ultima tipologia di atti possibili al difensore in sede di Indagini Difensive. Il legislatore parla di "accesso ai luoghi”.


Il sopralluogo, ovunque compiuto, può essere funzionale a tre esigenze:


A) prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose;

B) procedere alla loro descrizione;

C) eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi.


Quanto all’aspetto formale il difensore o gli ausiliari indicati nell’articolo 391 bis, possono redigere un verbale nel quale sono riportati:


a) la data ed il luogo dell’accesso;

b) le proprie generalità e quelle delle persone intervenute;

c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose;

d) l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell’atto e sono allegati al medesimo.

* Analisi sulla sovrapposizione di tratti

* Confronti e analisi di documenti dattiloscritti, stampa laser, a getto d’inchiostro

* Consulenze grafologiche su capacità di intendere e volere

* Consulenze grafologiche motivazionali e di orientamento scolastico

* Consulenze grafologiche sulla compatibilità di coppia

* Analisi chimico-tossicologica in ambito forense

* Analisi di esplosivi, infiammabili, balistica e tracce dello sparo in ambito forense

* Rilevazione e comparazione di impronte digitali in ambito forense

* Rilievi video-fotografici

* Identificazione di tracce biologiche e analisi del DNA in ambito forense

* Identificazione e individuazione di reperti e tracce biologiche in ambito forense

* Raffronti di tracce vocali da registrazione audio-magnetica analogica e digitale

* Analisi di voice-stress in ambito forense

* Analisi di integrità e originalità di supporti audio e video sia analogici che digitali

* Perizie foniche



Infine, secondo l’articolo 7 della Legge 397/2000, le indagini difensive possono svolgersi "fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto” e "in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione”.



Le prove raccolte infatti possono essere usate sia durante la fase delle indagini preliminari, che durante il periodo che intercorre tra la domanda di rinvio a giudizio del Pm e l’inizio della discussione in sede di udienza preliminare.


Volendosi soffermare sulle modifiche più significative, giova innanzitutto rilevare che l’intervento del Garante, volto al coordinamento delle disposizioni di deontologia già contenute nell’Allegato 6 al GDPR, ha comportato la sostituzione dei riferimenti ai principi ispiratori del precedente quadro normativo con quelli espressi dal Regolamento europeo:


pertanto, al posto dei richiami alla pertinenza, completezza e non eccedenza dei dati, viene introdotto il richiamo al principio di minimizzazione dei dati rispetto alle finalità difensive (ai sensi del richiamato art. 5 GDPR).


In via preliminare si segnala che in data 13 dicembre 2018 il Garante ha individuato con provvedimento n. 497 le Prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati da parte degli investigatori privati contenute nell’Autorizzazione generale n. 6/2016 che risultano compatibili con il GDPR e con il Decreto di adeguamento, avviando al contempo una consultazione pubblica – attualmente in corso – volta ad acquisire osservazioni e proposte riguardo alle predette prescrizioni.


Nessun richiamo è, invece, espressamente presente, nelle Regole deontologiche, al trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati di cui all’art. 10 GDPR: giova tuttavia segnalare che il terzo comma dell’art. 2-octies del Codice Privacy sancisce espressamente che, fermi restando i commi 1 e 2 del medesimo articolo. 


Il trattamento di dati personali relativi a condanne penali e a reati o a connesse misure di sicurezza è consentito se autorizzato da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge. L’esecuzione di investigazioni o le ricerche o la raccolta di informazioni per conto di terzi ai sensi dell’articolo 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.



L’obbligo di rendere l’informativa privacy agli interessati



Un aspetto particolarmente rilevante riguarda, poi, l’obbligo dell’investigatore privato di fornire agli interessati la propria informativa sul trattamento dei dati personali, ai sensi degli artt. 13 e 14 del GDPR.


In particolare, con riguardo ai casi in cui i dati siano raccolti presso l’interessato (art. 13 del Regolamento), l’art. 11 delle Regole deontologiche, richiamando espressamente l’art. 3 delle medesime Regole, consente all’investigatore privato di fornire l’informativa "in un unico contesto, anche mediante affissione nei locali dello Studio e, se ne dispone, pubblicazione sul proprio sito Internet, anche utilizzando formule sintetiche e colloquiali”.


Con riguardo, invece, all’obbligo di rendere l’informativa nel caso in cui i dati non siano stati raccolti presso l’interessato (art 14 GDPR), si evidenzia come sia stato eliminato il Preambolo del Codice di deontologia – il cui testo non è stato reinserito nelle Regole deontologiche – e, conseguentemente, sia stato modificato l’art. 11 del Codice di deontologia.


In particolare, il Preambolo, ribadendo espressamente quanto statuito dall’art. 13, comma 5, lett. b) del Codice Privacy (norma abrogata dal Decreto di adeguamento), affermava la possibilità per l’investigatore di "omettere l´informativa stessa per i dati raccolti presso terzi, qualora gli stessi siano trattati solo per il periodo strettamente necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere investigazioni difensive, tenendo presente che non sono raccolti presso l´interessato i dati provenienti da un rilevamento lecito a distanza, soprattutto quando non sia tale da interagire direttamente con l´interessato”.


A seguito dell’abrogazione della norma di riferimento (l’art. 13, comma 5, lett. b) del Codice Privacy e della eliminazione dell’intero Preambolo (e, nello specifico, del passaggio sopra riportato), si è così posto il tema di verificare se sia ormai da ritenersi esclusa la possibilità di omettere l’informativa per i dati raccolti presso terzi.


Nonostante vi siano opinioni discordanti in proposito, sembrerebbero sussistere, argomenti per sostenere che vi sia ancora tale possibilità: infatti, il nuovo art. 11 delle Regole deontologiche, prevede che "L’investigatore privato può fornire l’informativa in un unico contesto ai sensi dell’articolo 3 delle presenti regole, ponendo in particolare evidenza l’identità e la qualità professionale dell’investigatore, nonché la natura facoltativa del conferimento dei dati, fermo restando quanto disposto dall’art. 14 del Regolamento, nel caso in cui i dati personali non siano stati ottenuti presso l’interessato”.


Occorre notare, al riguardo, che l’art. 14 del GDPR esonera il titolare del trattamento – nel caso che ci riguarda, l’investigatore privato – dall'obbligo di fornire all'interessato la propria informativa nel caso in cui i dati non siano stati ottenuti presso l’interessato, a talune condizioni, incluso quando "comunicare tali informazioni risulta impossibile o implicherebbe uno sforzo sproporzionato; in particolare per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui all’articolo 89, paragrafo 1, o nella misura in cui l’obbligo di cui al paragrafo 1 del presente articolo rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità di tale trattamento. In tali casi, il titolare del trattamento adotta misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’interessato, anche rendendo pubbliche le informazioni”.


Ciò che, invece, probabilmente è mutato è il fatto che l’esonero dal rendere l’informativa per i dati raccolti presso terzi non sembra più operare in virtù di un meccanismo automatico, ossia per il solo fatto che il titolare svolga delle investigazioni difensive, bensì necessita oggi di una verifica ad hoc da parte di quest’ultimo, chiamato a valutare la sussistenza delle condizioni di esonero previste dall’art. 14 GDPR.



LA CONSERVAZIONE DEI DATI RACCOLTI

Alcune precisazioni in merito al tema della conservazione dei dati.


Infatti, l’art. 10 delle Regole deontologiche fa, oggi, riferimento non più all’art. 11, comma 1, lett. e) del Codice Privacy (abrogato dal Decreto di adeguamento), bensì all’art. 5 GDPR, che codifica i principi di «minimizzazione dei dati» (secondo cui "i dati devono essere limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati”) e «limitazione della conservazione» (per il quale i dati devono essere "conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati”).


Tuttavia, ferma restando la rilevanza dei principi sopra citati, giova evidenziare come, nel caso di specie, il Garante abbia scelto di mantenere inalterata la sostanza dell’art. 10 in esame: in particolare, fatti salvi i nuovi richiami all’art. 5 GDPR ed al principio della trasparenza, la disposizione ancora oggi ammette la possibilità della "conservazione temporanea di materiale strettamente personale dei soggetti che hanno curato l’attività svolta, a i soli fini dell’eventuale dimostrazione della liceità, trasparenza e correttezza del proprio operato”.


Di fatto, quindi, l’investigatore privato sembra mantenere il diritto – anche nel nuovo impianto normativo – di conservare i dati personali raccolti in fase di indagine anche a seguito della conclusione della stessa, per mero uso personale, a fini di difesa della liceità, trasparenza e correttezza del proprio operato, ciò peraltro risultando perfettamente in linea con i presupposti di liceità del trattamento sanciti dagli artt. 6.1, lett. f) e 9.2, lett. f) GDPR.


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